Insieme contro la mafia
La Magistratura ha nell’applicazione delle leggi gli strumenti per operare, l’informazione nella capacità di inchiesta e di analisi, ma è la società civile che ha il dovere civico e morale di spezzare la catena di connivenze e di paure che imbriglia l’economia e la intossica.
L’appello del “magistrato più giovane d’Italia”, Sebastiano Ardita, che ha superato il concorso in magistratura nel ’91 quando in Sicilia si facevano le stragi di mafia, e che oggi è procuratore aggiunto al Tribunale di Catania, è forte e deciso. “Catania è una città che ha espresso livelli altissimi di valore morale – ha ricordato il magistrato durante l’incontro organizzato dal Rotary Club Catania – e da questa consapevolezza, con orgoglio, deve ripartire”.
Il magistrato, autore di numerosi libri-inchiesta, componente della Direzione Distrettuale Antimafia e Direttore Generale dell’Ufficio dei Detenuti, Consulente della Commissione parlamentare antimafia e coordinatore del pool di Pm del Tribunale di Catania per il “Codice Rosso” e per le fasce deboli, ha ripercorso la storia dello sviluppo della criminalità organizzata a Catania e si è soffermato sulle trasformazioni dell’organizzazione mafiosa negli ultimi decenni, che ormai non usa più le armi da fuoco per imporsi, ma gli strumenti più sofisticati dell’economia e della finanza, spesso intrecciando affari sporchi con attività legali in un mix che difficilmente si riesce a dipanare.
Le leggi talvolta inadeguate, i problemi della magistratura oberata di lavoro, i collaboratori di giustizia che non trovano più conveniente dare una mano alle indagini, la proliferazione delle attività utilizzate a “ripulire il denaro sporco” sono stati soltanto alcuni dei temi che hanno acceso il dibattito e animato le riflessioni tra il numeroso pubblico.
Gli interventi di Michele Cucuzza, socio del Club e direttore di “Antenna Sicilia”, e di Antonello Piraneo, direttore del quotidiano “La Sicilia”, hanno acceso i riflettori sulla “legge bavaglio” che vorrebbe sottoporre a procedimento disciplinare tutti quei magistrati che dovessero consegnare ai giornalisti anticipazioni sulle indagini. “Falcone e Borsellino oggi non potrebbero più spiegare cosa emergeva dalle dichiarazioni di Buscetta”, sintetizza con una immagine il magistrato.
Il dibattito si è arricchito grazie agli interventi di Francesco Milazzo, Antonio Signorello, Emanuele Rimini, Francesco Toscano e della presidente Maria Torrisi che ha ricordato gli anni delle prime indagini del magistrato catanese.